L’olimpismo visto da Blonay

Dato che la prossima estate i Giochi Olimpici si terranno a Rio de Janeiro, vale la pena ricordare che 100 anni fa il Comitato Olimpico si trasferì a Losanna e nominò presidente un borghese di Blonay.

Foto di Godefroy de Blonay

Godefroy de Blonay

Figlio del barone Gustave-Louis de Blonay, banchiere e proprietario del castello de Grandson, Godefroy de Blonay frequentò i corsi di egittologia a Parigi e divenne privat-docent all’Università di Neuchâtel nel 1911. Nel 1899 fu il primo cittadino svizzero a entrare a far parte del Comitato Olimpico Internazionale. In quell’occasione partecipò ai Giochi di Stoccolma del 1912. Tornò in Svizzera da entusiasta. Va sottolineato che quelle competizioni erano, all’epoca, solo per uomini e dilettanti. Inoltre, nel 1912 fondò il Comitato Olimpico Svizzero. Assunse la presidenza per tre anni, dal 1912 al 1915. Mentre il suo amico Pierre de Coubertin era arruolato nella Prima Guerra Mondiale, sostituì la presidenza del CIO dal 1916 al 1919. Successivamente, nel 1925, divenne vicepresidente della commissione esecutiva. Rimase poi membro del CIO fino alla sua morte, avvenuta nel 1937 a Biskra (Algeria).

I Giochi Olimpici di Berlino, previsti per il 1916, furono cancellati a causa della guerra e Godefroy de Blonay partecipò attivamente alla preparazione dei Giochi di Anvers, nel 1920. In quell’occasione, la bandiera olimpica fu issata per la prima volta come simbolo della riconciliazione universale, mentre un atleta pronunciava il giuramento olimpico a nome di tutti gli atleti.
Oggi, per partecipare ai Giochi Olimpici bisogna essere iscritti a una Federazione Nazionale e soddisfare dei criteri di prestazione. All’epoca di Godefroy de Blonay le cose erano diverse: gli atleti si iscrivevano ai giochi da soli. Un detto comune è: “La cosa più importante non è vincere, ma partecipare”. Questo detto è in parte opera di Pierre de Coubertin, il promotore dei moderni Giochi Olimpici. Ma non è esattamente così. Il barone prese queste parole da un giuramento del vescovo della Pennsylvania Ethelbert Talbot, pronunciato il 19 luglio 1908 durante i Giochi Olimpici di Londra. In realtà, durante le gare di atletica, sembrava che gli ufficiali di gara, che provenivano principalmente dall’Inghilterra, fossero un po’ troppo parziali, secondo gli atleti.

Per calmare gli animi, Pierre de Coubertin pubblicò sulla Rivista Olimpica del luglio 1908 il seguente testo: “Domenica scorsa, durante la cerimonia organizzata nella cattedrale di Saint Paul in onore degli atleti, il vescovo della Pennsylvania ci ha ricordato con parole amichevoli: ‘La cosa importante di questi Giochi Olimpici non è tanto la vittoria quanto la partecipazione’. Signori, ricordate questo forte sentimento, che si diffonde in tutti i campi fino a costituire la base di una filosofia sana e serena. La cosa più importante nella vita non è il trionfo, ma la lotta: ‘l’essenziale non è vincere, ma aver combattuto bene'”.

Sia a livello mondiale che a livello locale, il motto olimpico “citius, altius, fortius”, che significa “il più veloce, il più alto, il più forte”, dovrebbe, nel suo principio nonostante sia spesso violato, applicarsi ai progressi personali che si possono ottenere rispettando la salute dei nostri concorrenti.

Quindi, qualunque sia lo sport praticato, partecipa felicemente a livello locale, buon sport e buona giornata!

Gianni Ghiringhelli
Archivista

[Articolo pubblicato nel Giornale dell’informazione dei Comuni di Blonay & St-Légier-La Chiesaz – n. 21 – marzo 2016].

N.B.
1. Le donne partecipano ai Giochi Olimpici dal 1900 (la prima medaglia d’oro fu della Svizzera – de Portalès per la gara di yachting) e molte donne parteciparono nel 1912 in particolare al torneo di tennis. La campionessa tedesca fu colpita a morte durante il bombardamento di Dresda nel 1945.

2. Il vessillo olimpico fu issato:
a) per la prima volta nello stadio Chatby di Alessandria (Egitto) nel 1914 (per celebrare i 20 anni del CIO).
b) a San Francisco, in occasione della giornata olimpica (esposizione panamericana) il 17 marzo 1915.
c) Poi nel 1920, 2 atleti americani lo portarono (di ritorno da San Francisco).